CORONAVIRUS: Numero dei Decessi, ma quali DATI CERTI!

CORONAVIRUS: Numero dei Decessi, ma quali DATI CERTI!

CORONAVIRUS: Riguardo al numero di deceduti da coronavirus in Italia, si continua a parlare di dati certi, anche se non è così!

Come anticipammo in un nostro precedente editoriale, in realtà il numero dei decessi registrati al di fuori delle strutture ospedaliere in queste ultime settimane è stato in fortissima crescita.

Ci riferiamo per esempio al caso di Alzano Lombardo; ma anche ai 120 morti registrati a Nembro dal 1 al 22 Marzo 2020, quasi tutti per polmonite interstiziale! Superfluo fare un raffronto con i 14 decessi che si registrano in media ogni anno nello stesso periodo.

Ebbene gran parte di questi decessi, non sono stati attribuiti al coronavirus, in quanto non si è potuto fare il tampone! E tutto ciò, nonostante nella stragrande maggioranza dei casi la causa della morte sia stata riconducibile alla polmonite interstiziale. E dunque di che cosa stiamo parlando?

Il caso di Manerbio in provincia di Brescia

Ma questo fenomeno non riguarda solo i comuni della bergamasca. Una situazione simile si sta registrando anche nella bassa bresciana centrale. E’ il caso per esempio di uno dei comuni di riferimento della zona, Manerbio.

Possiamo confermare, per esperienza diretta, che qui i dati dei decessi reali sono spropositatamente superiori rispetto a quelli ufficiali attribuiti al coronavirus; e lo sono, del resto, anche rispetto a quelli totali dell’anno precedente. Naturalmente si tratta di dati segnalati dai sindaci della zona, nonché dai medici di famiglia che operano sul territorio.

In questo comune, i morti positivi al tampone, fino a qualche giorno fa e nell’arco delle precedenti tre settimane, sono stati 29. Tuttavia i reali decessi nello stesso periodo risultano essere 52, contro i 110 riferiti all’intero anno 2019. A conti fatti, si parla di un tasso di mortalità OTTO VOLTE SUPERIORE rispetto alla media statistica del periodo e quasi il doppio di quella ufficiale, associata al coronavirus.

La situazione in alcune case di riposo lombarde è drammatica

Basti pensare ai 600 morti in venti giorni registrati nei centri per anziani della sola provincia di Bergamo.

E la causa dei decessi? Ignota, perché non viene quasi mai praticato il tampone.

Dunque sarebbe bene finirla con questa storia che non è possibile calcolare il tasso di letalità della pandemia perché, mentre i dati dei decessi associati al coronavirus sono certi, quelli riguardanti il reale numero di contagi non lo sono. Perché non lo sono entrambi.

E ci si chiede come mai il tasso di letalità in Italia sia superiore rispetto agli altri paesi. “Dove abbiamo Sbagliato“, ci si dice. Dove abbiamo sbagliato? Non sarebbe il caso di dire, dove hanno mentito gli altri?

Ci riferiamo per esempio al caso delle 42.000 urne cinerarie contenenti i resti dei defunti della sola città di Whuan negli scorsi mesi e consegnate in questi giorni ai loro parenti. I conti sembrerebbero non tornare, rispetto ai 2.535 morti ufficializzati in quella zona, e associati al coronavirus.

Oppure vogliamo ipotizzare che cinesi e tedeschi siano geneticamente diversi da noi e quindi più reattivi al COVID-19? Ipotesi che peraltro non andrebbe scartata a priori, visto quanto sta emergendo a tal proposito rispetto alle popolazioni dell’Africa sub sahariana. Ma questa è tutta un’altra storia.

Sottovalutazione dell’epidemia

Di fatto, la portata della pandemia in corso è stata sottovalutata fin dall’inizio e da più parti, le quali ora si rimpallano le responsabilità senza alcuna remora.

Purtroppo, ammettere subito un proprio errore di valutazione e cominciare a ragionare a mente serena su come migliorare le soluzioni da adottare per risolvere un problema, non è cosa da tutti.

Si cerca in qualche modo di salvare il salvabile, ovvero la propria faccia, minimizzando ulteriormente la gravità della situazione; ma purtroppo si tratta di un grave errore di fondo che finisce con l’appannare il giudizio personale e col peggiorare la situazione. Forse tale atteggiamento ha inciso persino su alcune decisioni sbagliate che hanno di fatto poi accelerato la diffusione del virus.

Ebbene, il percorso di sottovalutazione della pandemia ha seguito nel tempo, più o meno le seguenti fasi:

Fase 1: E’ poco più di una banale influenza

Si è cominciato definendo il CORONAVIRUS come: “poco più di una banale influenza“, soprattutto quando stava ancora in Cina. In effetti, era percepito come un problema lontano. E quindi, anche solo l’ipotesi di una quarantena per chi rientrasse dalla Cina fu tacciata come atto discriminatorio nei confronti dei cinesi.

Fu il primo grave errore, unitamente alla chiusura dei soli scali diretti dalla Cina, che impedì un’adeguata tracciatura di chi entrava nel nostro paese dalle zone a rischio. Tant’è che il probabile paziente zero, fece il suo ingresso in Italia proprio dalla Germania.

Burioni e l’intervista da Fabio Fazio

A tal proposito, suggerirei di smetterla con l’accostare il virologo Roberto Burioni alla sottovalutazione del virus. E’ vero che mesi fa, intervistato da Fabio Fazio, disse che non vi era alcun pericolo in Italia; ma la sottovalutazione del pericolo era legata al fatto che allora, in Italia, non vi fosse ancora nessuna evidenza che il virus stesse già circolando sul nostro territorio.

Oggi si pensa che in realtà si stesse già diffondendo indisturbato da mesi, ben prima che l’emergenza si palesasse. Va detto però che Burioni, ci mise in guardia fin dall’inizio sulla pericolosità del coronavirus il quale avrebbe potuto causare danni immani alla collettività, se si fosse diffuso a livello pandemico e dunque anche in Italia.

La sua responsabilità fu dunque, a nostro avviso, quella di sottovalutare il pericolo di diffusione del virus in Italia. Cosa diversa e ben più grave, è tuttavia quella di sottovalutare il virus stesso!

L’intervista di Maria Rita Gismondo su Rete 4

Ben diverso è il caso della dottoressa Maria Rita Gismondo la quale, ancora pochissimi giorni fa, durante un’intervista rilasciata a Paolo del Debbio su Rete 4, insisteva ostinatamente nel sostenere la propria tesi iniziale.

Commentando gli allora 1.040 morti accertati da CORONAVIRUS la microbiologa ridimensionava l’allarme, affermando di nuovo che “il coronavirus è assimilabile a un‘influenza stagionale“. E lo fece in particolare citando gli 8 mila decessi per influenza, che a suo dire, si sarebbero registrati nel corso del 2019 in Italia.

A parte che ora, in poco più di 3 settimane i morti da coronavirus hanno superato la soglia delle 10.000 unità, contro i presunti 8.000 decessi da influenza registrati nell’arco dell’intero 2019.

Va detto però, che quei dati potrebbero essere in realtà molto minori. Secondo alcuni colleghi della Gismondo, tra cui lo stesso Burioni, il numero di decessi nei quali l’influenza stagionale abbia avuto in qualche modo un ruolo (diretto o indiretto) durante il 2019, potrebbero essere addirittura l’ottava parte di quelli citati dalla nota virologa; ovvero intorno alle 1.000 unità.

In qualsiasi caso, altro che poco più di una banale influenza!

La caccia ai runner

In quei giorni intanto, era iniziata la caccia ai cosiddetti runner furbetti che, approfittando delle belle giornate, non si facevano mancare la loro corsetta quotidiana, affollando parchi e giardini pubblici.

Tuttavia viene da pensare che se mandi reiteratamente in TV un’esperta microbiologa la quale continua a sostenere la tesi della banale influenza, poi non ci si può stupire più di tanto, se la gente esce di casa.

Tanto è solo una banale influenza” è un messaggio micidiale! Il quale messaggio, potrebbe aver fortemente contribuito alla sottovalutazione della situazione, anche da parte della popolazione, specie in una prima fase.

Fase due: la cosa è più seria del previsto ma…

E così si è passati alla fase due. Ovvero, ammettere la gravità della situazione ma non con diretto riferimento alla pericolosità in sé del COVID-19, quanto piuttosto al possibile sovraffollamento delle strutture ospedaliere che ne sarebbe derivato. Soprattutto per quanto riguarda le unità di terapia intensiva, numericamente limitate.

Si trattò della fase: “si ma, il virus è comunque pericoloso solo per le persone anziane” (con quell’odioso, implicito chi se ne frega nascosto tra le righe). Come se questa cosa fosse di per sé un’attenuante. Sembrerebbe piuttosto un’aggravante, per la verità.

Fase 3: il tasso di letalità del virus è superiore al previsto ma…

Ma, c’è sempre quel ma. Che non ha probabilmente facilitato il lavoro di chi sta al fronte; ovvero di quei medici e infermieri che ogni giorno combattono contro un nemico invisibile e imprevedibile.

I quali, medici e infermieri, hanno chiesto fin dall’inizio di non sottovalutare l’epidemia, SENZA SE E SENZA MA!

E quindi ora, in questa terza fase, si ammette che il pericolo è stato fortemente sottovalutato anche se tuttavia, il tasso di letalità del virus è inferiore a quanto ci dicono i dati statistici perché appunto il denominatore (ovvero il numero dei contagiati) non è un dato noto.

Peccato che, come ampiamente detto, anche il numeratore, ovvero il numero dei morti per coronovirus non sia un dato certo.

E quindi, riteniamo, nel nostro piccolo, che forse sarebbe meglio lasciar perdere queste sterili elucubrazioni basate su dati che non saranno certi ancora per molto tempo.

Sarebbe il caso di concentrarsi piuttosto sulle strategie da adottare per limitare il più possibile la diffusione del virus; soprattutto in alcune regioni d’Italia dove la sanità è al collasso già ora, ancor prima che il virus abbia cominciato a “picchiare duro“.